• Le opere di Tony Afeltra e Raffaele Amato in mostra a Sant’Antonio Abate

    On: 15 Maggio 2018
    In: Mostre, News
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    Circa quaranta opere degli artisti Tony Afeltra e Raffaele Amato, alla Cripta Congrega dell’Immacolata, a Sant’Antonio Abate dal 13 maggio al 10 giugno 2018.

    L’iniziativa dalla considerevole valenza culturale, porta la firma di Pasquale Lettieri, autorevole curatore d’arte che ha organizzato  mostre e rassegne culturali di rilevanza nazionale ed internazionale ed è organizzata dalla Associazione Sud Vesevus Art.

    La location dell’evento ha ispirato gli artisti, nonché il curatore della mostra, a intitolarla “Crypta manent”, una tensione estetica e concettuale in cui si condensa la condizione post moderna: un caleidoscopio, dove tutto riesce ad incastrarsi col tutto, costituendo un universo di segnali e di segni, che poi finiscono per avere un codice qualsiasi, che rivoluzioni, anche solo per un attimo, il nostro comune senso della percezione, oppure costituisce un nuovo modo di sentire, senza più ritorno, separando nettamente, un prima da un dopo, come documentano le opere esposte nella mostra di Sant’Antonio Abate, corredata da un elegante catalogo a colori. In occasione dell’inaugurazione, in programma per le ore 18.30 del 13 maggio 2018, interverranno, oltre al curatore e agli artisti, il Priore della Congrega dell’Immacolata Giulio Vernassi e il Presidente dell’Associazione Sud Vesevus Art.

    “Tony Afeltra e Raffaele Amato – scrive Pasquale Lettieri nel prezioso catalogo che fa da pendant alla mostra – con questa doppia personale hanno creato uno spazio estremamente espressivo e suggestivo, una grande confusione di vivi e di morti, i quali rivelano i desideri più vergognosi, le prove più atroci: la guerra, l’amore, il delitto, l’ansia. Un ripostiglio metastorico che sprizza energia misteriosa, in esso i due artisti hanno materializzato i ricordi e le emozioni. Il tema della morte in un’epoca come la nostra in cui essa non si manifesta più in maniera sopita, ma schiantante, visto il tran tran della depressione che ora indulge alla bulimia, della ricchezza e dello sfarzo, ora si piega all’anoressia, della sottigliezza e della scomparsa, per cui è il contesto in cui la mostra si articola, più che la singola opera a fare linguaggio, a fare da discrimine, visto che le paratie non esistono più e i valori sono quelli che le aristocrazie del potere e del volere, definiscono come tali e gli altri finiscono con accoglierli, vista la forza di persuasione dei media e dei social network. La pittura fortemente espressionista di Afeltra e Amato ci dice che la morte esiste, come è sempre esistita, oggi si può parlare di più morti coesistenti, conflittuali e questo non può che sorprendere solo gli ingenui, che pensano dell’arte solo cose angeliche e poetiche. Il pubblico si troverà  di fronte ad un palcoscenico esoterico, in una zona di confine tra la vita e la morte, in un limbo tra realtà e sogno. Quasi delle ombre che nel fugace transito tra il mondo terreno e l’aldilà non riescono a liberarsi del fardello delle proprie passioni terrene”.

     

    Info mostra

    Titolo: Crypta manent

    Artisti: Tony Afeltra, Raffaele Amato

    Curatore: Pasquale Lettieri

    Location: Cripta Congrega dell’Immacolata

    Vernissage: 13 maggio 2018 ore 18.30 al 10 giugno 2018

    Organizzazione artistica: Associazione Sud Vesevus Art

    Ufficio Stampa e contatti: Pasquale Napolitano – pasqualenapolitano81@gmail.com

    Catalogo in mostra

     

    Fonte: http://one-magazine.it/3002/ 

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  • Giovanna Benzi: ”Non solo nuvole”

    On: 11 Aprile 2018
    In: Mostre, News
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    Dopo la mostra monumentale del maestro Ugo Nespolo, un altro importante evento impreziosisce gli immacolati saloni del Palazzo Clerici a Cuggiono, in esposizione circa quaranta tele che ci introducono alla complessità espressiva della pittrice Giovanna Benzi, con la sua personale dal titolo “Non solo nuvole”.

    Pablo Picasso diceva “Anche una rosa se ben dipinta può essere rivoluzionaria”.  E io mi chiedo: “E se fossero nuvole”? La risposta ce la dà l’artista di origini milanesi Giovanna Benzi, che ha fatto delle nuvole il motivo unico della sua rappresentazione pittorica. Opere concettuali o iperreali? Io direi poesia di amore e libertà. Ed ha creato con esse un rapporto empatico, di interscambio sentimentale, rivoluzionario nella sua essenzialità. Una rivoluzione, intesa come accelerazione del tempo, dei cambiamenti, non solo del senso comune, ma anche delle consapevolezze individuali e sociali, continua e ineguagliabilmente complessa, dei linguaggi verbali, immaginari  e multimediali, che sempre più somiglia ad un caleidoscopio, dove tutto riesce ed incastrarsi col tutto, costituendo un universo di segnali e di segni, che poi finiscono per avere un codice qualsiasi, che rivoluzioni, anche solo per un attimo, il nostro comune senso della percezione, oppure costituisce un nuovo modo di sentire, senza più ritorno, separando nettamente, un prima da un dopo. Queste le nuvole che sono sotto i nostri occhi, metafora e speculum dell’esistenza umana, esse lambiscono  i nostri sensi, con tanta soffice delicatezza, così diversa dalle violenze a cui siamo antropologicamente abituati, che rischiano di passare inavvertite, mentre sconvolgono e continuano a sconvolgere i più consolidati parametri, su cui si fondano i nostri paradigmi conoscitivi, quelli che ci permettono di mettere in questione noi stessi e il mondo, l’infinitamente piccolo e invisibile, che si conferma come la fonte più sicura delle informazioni che riguardano noi tutti e l’universo che sta sotto gli atomi, fino ad ipotizzare che in questa direzione potremo scoprire l’origine stessa dell’universo e già parliamo di una prossima conoscenza dei cosiddetti mattoni di Dio, mentre l’infinitamente grande e  altrettanto invisibile, si mostra sempre più come il distendersi vettoriale verso il sistema solare e verso le mete intergalattiche, ipotizzando cronologie dell’ordine di miliardi di anni luce e velocità che superino quella della luce. Ammirare le opere della Benzi, per noi significa capire che siamo come le nuvole, pronti a trasformarci continuamente, anche in senso fisico, vista la capacità chimica (e oggi diremo anche clinica) di intervenire sulla forma, attenuandone o modificandone la morfologia e variare al variare del tempo, adattando le nostre caratteristiche culturali, morali ed etiche in modo da non essere travolti dalla corrente continua degli eventi, delle progettualità e delle derive e seguire le trasformazioni, in modo da esser sempre in sintonia, in sincronia, il che vuol dire anche in critica e in dissenso, con quello che accade, nel reale e nel virtuale, per non essere preda di teorie superate, di linguaggi mitizzati, di retoriche rituali, tutte quelle cose che in passato hanno presieduto alla nascita, alla crescita, al declino e alla morte delle civilizzazioni e delle civiltà.

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    Escluse le posizioni  di apocalitticiintegrati, che appartengono a due estremismi dogmatici, che non riescono a leggere le conservazioni e le trasformazioni, come insuperabili molecolarità della vita materiale e delle sue proiezioni culturali, in continua interazione tra il reale e il virtuale e viceversa, i primi destinati ad essere spazzati via dalla storia, i secondi  impastati tra infrarossi e ultravioletti, tutte le altre posizioni, sono accettabili e direi necessarie, per coltivare le memorie del passato e farle diventare energie della vita, ricordando che tutti gli innovatori, anche quelli oggi santificati, sono stati o pazzi o eretici e spesso le due cose insieme. Le nuvole della Benzi sanno stare insieme, si impalmano, si fondono, si corteggiano, si adagiano al cielo come nel Pantheon. Pantheon in religione, come luogo della reciproca riconoscibilità in cui si può stare gli uni accanto agli altri, senza infastidirsi reciprocamente, senza considerare la diversità come un difetto, anzi considerandola come un plus, quasi una perfezione. Un luogo sintesi di tutti i luoghi, dove non è necessario avere padrini, ma basta esserci, occupando il proprio posto e rispettando quello degli altri, anzi facendosene garante.

    Giovanna Benzi dipinge il sublime, erede, nel suo grande contenitore indicibile ed ineffabile, delle misure della bellezza, della libertà espressionistica, dell’emozione, della gestualità, del nomadismo, della sperimentazione, della teatralità della scena, del segreto di un laboratorio sapienziale e facturale, del grande teatro che è sopra di noi e della sua immensa volta celeste, conturbante aura fantastica e cappa insostenibile, caratterizzata, rizomaticamente ed atmosfericamente dalle nuvole.

    Esse si configurano come un grande contenitore, informe, elastico, pronto ad assumere la forma di tutto quello che contiene dentro, cambiando di continuo il loro modo di apparire, la loro transeunte morfologia, fatta di tutte le imperfezioni e le titubanze che vengono a scontrarsi, quando tutto è stasi e sembra movimento, quando tutto è movimento e sembra stasi.

     

    Pasquale Lettieri

     

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  • Cerimonia delle nomine MAESTRI D’ARTE

    On: 7 Aprile 2018
    In: Senza categoria
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    Sabato 31 Marzo presso la sala dei concerti di Palazzo De Nobili di Catanzaro, la Camera Regionale Arti e Moda Calabria presenta: La Cerimonia delle Nomine “MAESTRI D’ARTE” ospite d’onore il critico e curatore Pasquale Lettieri.

     

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  • Intervista per Mostra su Giorgio DeChirico – Museo Marte (CZ)

    On: 24 Marzo 2018
    In: News
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    De Chirico a San Pietro a Maida La grande bellezza nella purezza delle forme.

    San Pietro a Maida , 24 marzo 2018 La grande bellezza nella purezza delle forme, nel sapiente contrasto del classicismo nel quale figure enigmatiche, senza volto, immerse in una solitudine cosmica, entrano nel nostro mondo tra sogno e realtà. L’ agorà mediterranea, quasi deserta, si anima di architetture essenziali, si apre a prospettive non realistiche, va oltre la tangibilità e si schiude al sogno e alla introspezione personale. De Chirico a San Pietro a Maida, ospitato dal MARTE, il museo nato a luglio del 2015 per la lungimiranza del sindaco Pietro Putame e da Pietro Gullo, responsabile della ricca sezione antropologica e Antonio Spanò responsabile della interessante sezione archeologica, Michele Licata, per l’ arte contemporanea, i quali, hanno creduto nell’ ambizioso progetto culturale che ha dato lustro alla cittadina, proiettandola tra le mete museali più prestigiose della nostra regione. Tanta gente, esperti di arte e persone comuni, giovani e meno giovani , incantati dalle trenta opere del grande De Chirico, esposte in due luminosissime sale che hanno accolto le tele, i disegni, le litografie, provenienti in gran parte da collezioni private e raccolte dai curatori della mostra: Ermenegildo Frioni, Pasquale Lettieri e Marcello Palmentieri . Affollatissima la presentazione della manifestazione, prima del taglio del nastro, che ha dato il via alla mostra che resterà aperta fino al 31 marzo. Un’ occasione imperdibile per ammirare uno dei maggiori esponenti della pittura mondiale del 21 secolo, che ha aperto nuove prospettive pittoriche ed è considerato il principale esponente della pittura metafisica.

    Cesare Natale Cesareo

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  • Mostra DeChirico (CZ)

    On: 20 Marzo 2018
    In: Eventi, News
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    “Enigma dell’Infinito”: Le opere di Giorgio De Chirico in vetrina a San Pietro a Maida.

    Circa trenta opere tra i lavori di uno degli artisti più rappresentativi della storia dell’arte del XX secolo, saranno esposte a San Pietro a Maida, dal 24 marzo al 31 marzo 2018.
    L’iniziativa dalla considerevole valenza culturale, porta la firma di Pasquale Lettieri, Ermenegildo Frioni e Marcello Palminteri, autorevoli curatori d’arte che hanno organizzato mostre e rassegne culturali di rilevanza nazionale ed internazionale.
    La manifestazione, patrocinata dal MIBACT e dalla Regione Calabria, é organizzata dalla FriArte di Roma, in collaborazione con l’Amministrazione comunale di San Pietro a Maida, guidata dal sindaco Pietro Putame, con il prezioso contributo del Direttore del Marte Pietro Gullo.
    La location dell’evento ha ispirato gli ideatori del progetto scientifico nonché curatori della mostra, Pasquale Lettieri, Ermenegildo Frioni e Marcello Palminteri a intitolarla “Enigma dell’Infinito”, una tensione estetica fondamentale nella ricerca di un artista geniale: il più moderno, il più vivo tra gli artisti della propria generazione, il più ricco di intuito e di preveggenza, come documentano le opere esposte nella mostra di San Pietro a Maida, corredata da un elegante catalogo in italiano ed inglese.
    In occasione dell’inaugurazione, in programma per le ore 17.00 del 24 marzo 2018, interverranno, oltre ai curatori, il sindaco di San Pietro a Maida Pietro Putame e il direttore dell’Accademia di Belle Arti Fidia di Vibo Valentia Michele Licata. È prevista una performance del cantautore Paco Ruggiero, mentre la stilista Renè Bruzzese esporrà abiti ispirati alle opere di De Chirico.
    “La solitudine dell’uomo – scrive Pasquale Lettieri nel prezioso catalogo che fa da pendant alla mostra – ha trovato in De Chirico un altissimo e modernissimo poeta di intensità leopardiana. Che questo comporti, da parte del Maestro una condanna quasi totale dell’arte contemporanea non deve trarre in inganno circa la vitalità della sua presenza e della sua partecipazione alla sensibilità del tempo in cui esistiamo. Già Degas aveva detto che “Bisogna scoraggiare le arti”, e ciò non è mai stato motivo di scandalo. De Chirico semplicemente ha compreso, con enorme anticipo sui pittori della sua generazione (e questo a livello mondiale, non semplicemente nazionale), che una pittura nuova non potrà mai consistere in una novità di formule o di trouvailes, per il semplice motivo che la pittura stessa è una trouvaille. Quel che conta sul serio è la verità che vi è insita, una verità che può essere ricercata nel “mistero” metafisico come nella “bella materia” della “pittura antica”. Le visite culturali e didattiche saranno curate dal Museo Marte.
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  • Mino Maccari, tra satira e tenerezza

    On: 3 Marzo 2018
    In: News
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    Successo di pubblico e di critica per la mostra di Mino Maccari allestita presso l’aula magna “Pitagora” dell’Accademia di Belle Arti Fidia di Vibo Valentia. Composta da 55 tra oli, disegni ed incisioni, selezionati da Ermenegildo Frioni, esegeta e amico dell’artista, è una specie di favola o labirinto di specchi con illustrazioni satiriche pubblicate su “Il Selvaggio”, una pubblicazione che Maccari diresse ed ebbe un enorme influsso sulla politica italiana nella prima metà del XX secolo. A “Il Selvaggio” collaboravano, tra l’altro, insigni artisti italiani come Curzio Malaparte, Carlo Carrà e Giorgio Morandi al di là della frequente censura fascista.

    Mino Maccari (Siena 1898- Roma 1989) è stato disegnatore satirico, pittore, giornalista, editore. Il padre è professore di lettere. Maccari si laurea in giurisprudenza. Partecipa come ufficiale di complemento alla prima guerra mondiale. Nel 1922 prende parte alla Marcia su Roma. Nel 1924 inizia a collaborare come grafico al settimanale “Il Selvaggio”, pubblicando le sue prime lineografie caricaturali. Tra il 1929 e il ‘31 è a Torino come redattore della “Stampa” diretta in quel momento da Curzio Malaparte. Molto intensa la sua presenza, oltre che su “Il Selvaggio”, sulle pagine di “Quadrivio”, “L’Italia letteraria”, “L’Italiano” e “Omnibus” di Longanesi, poi durante la guerra su “Primato” di Bottai e successivamente sul “Mondo” di Pannunzio, fino a “Documento” di Federigo Valli. Numerose le sue cartelle di grafica, fra cui l’Album di Vallecchi (1925), Il trastullo di Strapaese (1928), Linoleum (1931). Illustra La vecchia del Bal Bullier di Antonio Baldini (1934) e nel 1942 pubblica la cartella Album, cui seguono Come quando fuori piove e Il superfluo illustrato.

    Fino agli anni Trenta, la partecipazione alle esposizioni non è molto frequente nel 1938 tiene a una personale alla XXI Biennale di Venezia ed espone alla Galleria L’Arcobaleno di Venezia, presentato Roberto Longhi. Nel 1948 ottiene il Premio internazionale dell’incisione alla Biennale veneziana. Maccari, con la sua opera grafica “mette in luce il contrasto tra il mondo intellettuale e la realtà autentica della vita italiana, ne valuta i sintomi, li raggruppa, ne intende il valore documentario, (…) convinto che l’Italia ha il senso della sua storia in nfunzione del suo avvenire e non deve essere turbata dai ‘problemi’, dalle complicazioni, dalle artificiose e deviatrici ‘necessità’”.

    Riportiamo l’intervento del curatore della mostra, il critico d’arte Pasquale Lettieri: “Di Mino Maccari ben conosciamo la vita, l’arte, la tecnica pittorica e i soggetti prediletti. Conosciamo l’amore per la donna e per lo scandaloso che non solo cercò, ma visse in prima persona. Maccari fu innanzi tutto un artista irriverente e provocatore: come non esitò a dipingere le prostitute e il loro mondo, non si tirò indietro sul fronte della satira. Così abile nel tratto e nella grafica, Maccari fu un artista vorace e vitale: la sua esistenza fu brillante e piena, instancabile osservatore, riservò uno sguardo più
    benevolo alla donna, riservando tutta la sua spietata ironia ai detentori del potere.

    Amante della figura umana in ogni suoi difetto e debolezza, l’artista con il suo tratto asciutto e sintetico raccontò agli italiani il marcio del comando, cavalcando l’ondata di malcontento dovuta a continui scandali e corruzione morale. La sua visione del mondo così puntuale, tagliente e talvolta cinica, fu probabilmente dovuta alla sua stessa esperienza di vita così diversa. Riversò nel vizio, nella provocazione e in un certa insubordinazione la voglia di esistere e di segnalare la propria presenza.

    Ma quello sguardo così vivace sul mondo può nascere solo da chi ha fatto dell’ironia e soprattutto dell’autoironia l’arma per sopravvivere nella giungla umana, consapevole del proprio difetto. E chi ben conosce se stesso non potrà che guardare agli altri in modo più attento e lucido, cogliendo ogni passo falso e imprecisione, oppure ogni tenerezza e gesto d’abbandono.
    Maccari, che mai dipinse paesaggi troppo innamorato dell’uomo e del suo comportamento, fu capace di rendere bello anche ciò che era universalmente definito brutto, facendoci quasi rimpiangere il novecento”.

     

    Pasquale Lettieri per one-magazine.it

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  • Chasing Beauty di Antonio Saba, un libro aperto sulla bellezza e sull’attualità dell’immaginario.

    On: 9 Dicembre 2017
    In: News
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    Si intitola Chasing Beauty la straordinaria raccolta di fotografie di Antonio Saba che propone una vasta rassegna di capolavori da scatto, la cui acutezza testimonia di un eclettismo declinato a tutto campo, con al centro il soggetto umano, cioè il creatore dello spettacolo che diventa esso stesso l’oggetto d’indagine, sia dal punto di vista psicologico che da quello fisico, componendosi e scomponendosi, come se fosse un libro aperto sulla storia e sull’attualità dell’immaginario, che ci vede là al centro, sia come occhio che sta dietro la macchina fotografica, proponendosi come regista del mondo, sia come occhio che guarda l’obiettivo per dare di sè una riproduzione addomesticata, se non falsa, non riconoscendo mai soggettività vera e propria alle folle viandanti, che nel loro anonimato fanno da sfondo nello sfondo. Chasing Beauty è un filo rosso disseminato sul nostro disordine, nel caos e nell’alienazione della società dello spettacolo, quando ti accoglie come spettatore, rilevabile solo numericamente, senza nome, senza cognome.

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  • Vittorio Mantovani presenta il suo libro, Angeli Scalzi

    On: 15 Novembre 2017
    In: Eventi, News
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    Mantovani nelle sue poesie coglie l’attimo fuggente e le tragedie dell’io, che avvengono mentre la sua penna riga un foglio e la sua tastiera batte una b oppure una a, oltre la soglia della percezione psicologica, in un vero schiacciamento, che è dovuto all’eccesso di immagini, di suoni, di eventi, che hanno cancellato la nozione di silenzio e di luce e quindi anche quella di rumore e di tenebre, tanto, tutto è diventato endemico, e il concetto di norma non esiste più, se non nei vocabolari etimologici, perché in effetti tutto è sconfinato, oltre il segno della bellezza, che è sempre un confine, determinando la non tracciabilità del sublime, che è automatismo e alterità. Mantovani sorprende le capacità nomenclari della parola, come accidente strutturale e significativo, che dello stesso linguaggio come griglia a priori, soggetta a mutazioni per crescita e decrescita, in un farsi e in un disfarsi, continuo, che è fisiologico, ma che oggi comincia ad apparire come palesemente inadeguato. E se questo è vero, in termini epistemologici ed ermeneutici vuol dire che questo aspetto del linguaggio di Mantovani, nella sua varietà denotativa e connotativa, che comprende la verbalità e la scritturalità, l’inventività e la sperimentalià e tutte le crescenze dovute all’universo aperto delle medialità, materiali e immateriali, se non affrontato nella sua multilateralità e in una frequentazione continua, che ne permetta l’accompagnamento in tutte le sue fasi riformistiche e rivoluzionarie, sia nelle evoluzioni pacifiche, che negli smottamenti improvvisi, rischia di diventare il problema dei problemi, perché mette in dubbio ogni fondamento della realtà e non in via idealistica, per induzione nel pensiero filosofico, quanto per caduta nell’alienazione, che è un eccesso di materialità, di consumo, di accumulo, di scorie e di cose che non devono durare più dell’attimo mentale, perché così vuole il capitalismo planetario, votato a produrre, produrre, senza sosta. Nelle poesie di Vittorio Mantovani ritroviamo il sublime, erede, nel suo grande contenitore indicibile ed ineffabile, delle misure della bellezza, della libertà espressionistica, dell’emozione, della gestualità, del nomadismo, della sperimentazione, della teatralità della scena, del segreto di un laboratorio sapienziale e facturale, del grande teatro del mondo e della sua immensa volta celeste, conturbante aura fantastica e cappa insostenibile, che caratterizza, rizomaticamente ed atmosfericamente il nostro tempo. Una poesia che si configura come un grande contenitore, informe, elastico, pronto ad assumere la forma di tutto quello che contiene dentro, cambiando di continuo il suo modo di apparire, la sua transeunte morfologia, fatta di tutte le imperfezioni e le titubanze che vengono a scontrarsi, quando tutto è stasi e sembra movimento, quando tutto è movimento e sembra stasi.

    Nei suoi versi tutto si svolge nel segno dell’imprevedibile, che cambia continuamente i linguaggi e il rapporto tra di loro. Gli eventi concreti, tangibili, un tramonto, il mare, una confessione, un fiore, uno sguardo, una sensazione, non sempre riescono ad avere una corrispondenza con quelli immaginari e con quelli verbali, perché hanno ritmi diversi. Quasi concetti utopistici, che non corrispondono a niente, oltre la fisica dei materiali o, specularmente, sperimentali, che necessariamente sono privi di nomenclatura, in quanto, imprevedibili, originali.

    Nella raccolta “Angeli scalzi” è contenuto tutto, anche la bellezza, come pura potenzialità, che si articola in molte stilistiche e  tipologie, che hanno in comune la forza debordante della ricerca, come dato della disseminazione, come effetto collaterale della smisuratezza, che richiede, di volta in volta, la concretezza dell’attualità, altrimenti resta confinata nel nulla.

    Nei momenti di accelerazione dei versi (che rappresentano la regola della modernità), tutto viene travolto, dalla continua mutazione, terminologica, iconica, formale, in una concezione sperimentale che non si può mai annullare, neanche nei momenti di ritorno all’ordine, di nuova linfa della tradizione e della concettualità, perché c’è una asistematicità, una fibrillazione, che in Mantovani è psicologia della fantasia e dei luoghi comuni, contaminazione tra individualità e agglomerazione di stati di memoria, di vita vissuta e di desideri, proiettati in ogni manifestazione non utilitaristica del sé.

    Si determinano, così, tanti e tanti, percorsi personali, costruiti sul pontile della libertà e della ricerca, nell’area di una centralità culturale, spirituale, che deve presiedere alla creazione della singolarità, dello spessore in cui ognuno misura se stesso, nell’invisibile dei segni, dei desideri, delle speranze, delle delusioni e del visibile, che vuole fuggire al nulla, apparire, essere.

    La persistenza della memoria per il poeta, fa da strato, da  comune riferimento, che non è solo linguaggio tecnico, ma un modo di esprimersi, fatto di confluenze e di alchimie, di desideri e di paure, di sogni e di ossessioni, che Vittorio Mantovani porta con sé, come bagaglio reale e virtuale, che mette a disposizione del nuovo e del diverso, combinandosi con le valenze disseminanti e affabulanti, della dimensione babelica del mondo.

     

    Fonte:one-magazine.it

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  • ESTATE DI SAN MARTINO 11 NOVEMBRE

    On: 7 Novembre 2017
    In: Eventi, Mostre
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    Il Circolo Culturale “Angeli Scalzi” presenta L’Estate di San Martino.
    Palazzo Clerici Via San Rocco 51 Cuggiono. Inaugurazione Sabato 11 Novembre 2017 ore 17:00.
    Orari della mostra: Domenica 12 e Lunedì 13 Novembre dalle ore 9:30 alle 19:00
    Interverrá il prof. Pasquale Lettieri critico e storico dell’arte.

    Presentazione Circolo Culturale
    “ (…) Talora sembriamo aver colto tutto.
    La natura, il mondo nelle scivolose mani.
    Eccoli i momenti più desiderati”.

    Da “Mano di bracciante”
    di Vittorio Mantovani

    Omaggio ai Cuggionesi
    Dopo 100 anni torna a Cuggiono
    lo splendido dipinto “La Maddalena”
    della pittrice cuggionese
    Carola De Agostini (1878/1957)

    Personale di Angelo Bartolini
    pittore romagnolo “di terra e di mare”.
    In mostra alcune opere legate
    al tema dell’autunno

     

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