Luigi Ontani è la personificazione del trasformismo, della capacità d’essere e non essere, apparire e sparire, cambiare continuamente i propri connotati, lasciando, però, una traccia di lettura, che oggi appare in tutta la sua leggendaria forza di trasgressione, in tutta la sua libertà, nei confronti delle mode e dei conformismi, peggio ancora se connotati da slogan rivoluzionari, atteggiamenti oltranzisti. Ontani è una figura tra le più inventive e fantasiose, che ci sia capitato d’incontrare dagli anni ’70 ad oggi, sempre libero da ortodossie e appartenenze, sempre intento a seminare i frutti raffinati del suo genio, senza curarsi degli altri più che tanto, in quanto sempre attratto dal proprio monologo interiore, che si esprime nella cura del sé, nella propria eleganza, nel coltivare la propria ambiguità tra l’angelico e il diabolico.

La sua è una messa in scena, da perfetto uomo di teatro, che afferma la propria differenza già dal proprio modo di vestire se stesso e le sue opere, sempre con una vena da crema pasticcera, che permetta di connotare un rosa Ontani e un azzurro altrettanto Ontani, senza prendersi troppo sul serio, ma proprio per questo, capace di tracciare una vera e propria antistoria del “disimpegno”, proprio a partire dagli anni della contestazione, a cui offriva un sorriso, mentre tanti profeti di sciagure, negarono che si potesse sorridere, senza arrecare un danno, irreparabile, all’arte e alla rivoluzione. Da questo punto di vista c’è un filo rosso che lega tutto Ontani, dai suoi dorati travestimenti alla sfacciata piacevolezza dei suoi lavori artistici, di tutti questi decenni che l’hanno visto scettico ed eretico, per la gioia di collezionisti raffinati, che si sono impossessati della sua biografia poetica come ci si impossessa dell’aria, per restituirla col largo gesto d’un saluto alla fantasia, alla libertà. La sua opera è sempre gestuale, in reazione ad una emozione, ad un improvviso guizzo dell’intuito, a fare quella cosa e non un’altra, come appare qui, nello sguardo lungo di una illogicità, che è dato dalla crisi dello stile, inglobato nel sistema della moda. L’Ontani che attraversa continuamente, l’ambigua linea di confine, che separa il bello dal brutto, tanto quanto unisce, mettendolo in una speciale vetrina con Andy Warhol, con Jeff Koons, con Damien Hirst, tutti degni figli di un Dalì, che sembrano essere una cosa sola, con il ritorno dell’opera fatta ad arte, degli anni ottanta che capovolgono il precedente politicismo. Ne consegue che, l’imprevedibile Ontani, finisce per prendere i connotati di un classico, a cui si possono dare incarichi di rappresentanza dell’immaginario collettivo, che è la sintesi del molteplice, che abita in ciascun tempo della storia umana e ne costituisce le vere e proprie sembianze.

Il tentacolare mondo di questo impareggiabile artista, si propone come un grande specchio della nostra modernità liquida, che ha la forma che noi li vogliamo dare, come la maschera napoletana di pulcinella che diventa allegra, triste, beffarda, pietosa a seconda dell’umore dell’interprete, senza privilegiare nessuno schema fisso, nello spirito dell’opera aperta che viene completata dall’intenzione del pubblico, alla cui risposta Ontani tiene molto, perché in esso c’è la chiave del suo linguaggio, che sotto le spoglie di una leggerezza da commedia, contiene un codice collettivo che viene presentato come un pregevole ed imprevedibile diario in pubblico.


Pasquale Lettieri