Sabato 31 Marzo presso la sala dei concerti di Palazzo De Nobili di Catanzaro, la Camera Regionale Arti e Moda Calabria presenta: La Cerimonia delle Nomine “MAESTRI D’ARTE” ospite d’onore il critico e curatore Pasquale Lettieri.
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Sabato 31 Marzo presso la sala dei concerti di Palazzo De Nobili di Catanzaro, la Camera Regionale Arti e Moda Calabria presenta: La Cerimonia delle Nomine “MAESTRI D’ARTE” ospite d’onore il critico e curatore Pasquale Lettieri.
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De Chirico a San Pietro a Maida La grande bellezza nella purezza delle forme.
San Pietro a Maida , 24 marzo 2018 La grande bellezza nella purezza delle forme, nel sapiente contrasto del classicismo nel quale figure enigmatiche, senza volto, immerse in una solitudine cosmica, entrano nel nostro mondo tra sogno e realtà. L’ agorà mediterranea, quasi deserta, si anima di architetture essenziali, si apre a prospettive non realistiche, va oltre la tangibilità e si schiude al sogno e alla introspezione personale. De Chirico a San Pietro a Maida, ospitato dal MARTE, il museo nato a luglio del 2015 per la lungimiranza del sindaco Pietro Putame e da Pietro Gullo, responsabile della ricca sezione antropologica e Antonio Spanò responsabile della interessante sezione archeologica, Michele Licata, per l’ arte contemporanea, i quali, hanno creduto nell’ ambizioso progetto culturale che ha dato lustro alla cittadina, proiettandola tra le mete museali più prestigiose della nostra regione. Tanta gente, esperti di arte e persone comuni, giovani e meno giovani , incantati dalle trenta opere del grande De Chirico, esposte in due luminosissime sale che hanno accolto le tele, i disegni, le litografie, provenienti in gran parte da collezioni private e raccolte dai curatori della mostra: Ermenegildo Frioni, Pasquale Lettieri e Marcello Palmentieri . Affollatissima la presentazione della manifestazione, prima del taglio del nastro, che ha dato il via alla mostra che resterà aperta fino al 31 marzo. Un’ occasione imperdibile per ammirare uno dei maggiori esponenti della pittura mondiale del 21 secolo, che ha aperto nuove prospettive pittoriche ed è considerato il principale esponente della pittura metafisica.
Cesare Natale Cesareo
LeggiSuccesso di pubblico e di critica per la mostra di Mino Maccari allestita presso l’aula magna “Pitagora” dell’Accademia di Belle Arti Fidia di Vibo Valentia. Composta da 55 tra oli, disegni ed incisioni, selezionati da Ermenegildo Frioni, esegeta e amico dell’artista, è una specie di favola o labirinto di specchi con illustrazioni satiriche pubblicate su “Il Selvaggio”, una pubblicazione che Maccari diresse ed ebbe un enorme influsso sulla politica italiana nella prima metà del XX secolo. A “Il Selvaggio” collaboravano, tra l’altro, insigni artisti italiani come Curzio Malaparte, Carlo Carrà e Giorgio Morandi al di là della frequente censura fascista.
Mino Maccari (Siena 1898- Roma 1989) è stato disegnatore satirico, pittore, giornalista, editore. Il padre è professore di lettere. Maccari si laurea in giurisprudenza. Partecipa come ufficiale di complemento alla prima guerra mondiale. Nel 1922 prende parte alla Marcia su Roma. Nel 1924 inizia a collaborare come grafico al settimanale “Il Selvaggio”, pubblicando le sue prime lineografie caricaturali. Tra il 1929 e il ‘31 è a Torino come redattore della “Stampa” diretta in quel momento da Curzio Malaparte. Molto intensa la sua presenza, oltre che su “Il Selvaggio”, sulle pagine di “Quadrivio”, “L’Italia letteraria”, “L’Italiano” e “Omnibus” di Longanesi, poi durante la guerra su “Primato” di Bottai e successivamente sul “Mondo” di Pannunzio, fino a “Documento” di Federigo Valli. Numerose le sue cartelle di grafica, fra cui l’Album di Vallecchi (1925), Il trastullo di Strapaese (1928), Linoleum (1931). Illustra La vecchia del Bal Bullier di Antonio Baldini (1934) e nel 1942 pubblica la cartella Album, cui seguono Come quando fuori piove e Il superfluo illustrato.
Fino agli anni Trenta, la partecipazione alle esposizioni non è molto frequente nel 1938 tiene a una personale alla XXI Biennale di Venezia ed espone alla Galleria L’Arcobaleno di Venezia, presentato Roberto Longhi. Nel 1948 ottiene il Premio internazionale dell’incisione alla Biennale veneziana. Maccari, con la sua opera grafica “mette in luce il contrasto tra il mondo intellettuale e la realtà autentica della vita italiana, ne valuta i sintomi, li raggruppa, ne intende il valore documentario, (…) convinto che l’Italia ha il senso della sua storia in nfunzione del suo avvenire e non deve essere turbata dai ‘problemi’, dalle complicazioni, dalle artificiose e deviatrici ‘necessità’”.
Riportiamo l’intervento del curatore della mostra, il critico d’arte Pasquale Lettieri: “Di Mino Maccari ben conosciamo la vita, l’arte, la tecnica pittorica e i soggetti prediletti. Conosciamo l’amore per la donna e per lo scandaloso che non solo cercò, ma visse in prima persona. Maccari fu innanzi tutto un artista irriverente e provocatore: come non esitò a dipingere le prostitute e il loro mondo, non si tirò indietro sul fronte della satira. Così abile nel tratto e nella grafica, Maccari fu un artista vorace e vitale: la sua esistenza fu brillante e piena, instancabile osservatore, riservò uno sguardo più
benevolo alla donna, riservando tutta la sua spietata ironia ai detentori del potere.
Amante della figura umana in ogni suoi difetto e debolezza, l’artista con il suo tratto asciutto e sintetico raccontò agli italiani il marcio del comando, cavalcando l’ondata di malcontento dovuta a continui scandali e corruzione morale. La sua visione del mondo così puntuale, tagliente e talvolta cinica, fu probabilmente dovuta alla sua stessa esperienza di vita così diversa. Riversò nel vizio, nella provocazione e in un certa insubordinazione la voglia di esistere e di segnalare la propria presenza.
Ma quello sguardo così vivace sul mondo può nascere solo da chi ha fatto dell’ironia e soprattutto dell’autoironia l’arma per sopravvivere nella giungla umana, consapevole del proprio difetto. E chi ben conosce se stesso non potrà che guardare agli altri in modo più attento e lucido, cogliendo ogni passo falso e imprecisione, oppure ogni tenerezza e gesto d’abbandono.
Maccari, che mai dipinse paesaggi troppo innamorato dell’uomo e del suo comportamento, fu capace di rendere bello anche ciò che era universalmente definito brutto, facendoci quasi rimpiangere il novecento”.
Pasquale Lettieri per one-magazine.it
LeggiSi intitola Chasing Beauty la straordinaria raccolta di fotografie di Antonio Saba che propone una vasta rassegna di capolavori da scatto, la cui acutezza testimonia di un eclettismo declinato a tutto campo, con al centro il soggetto umano, cioè il creatore dello spettacolo che diventa esso stesso l’oggetto d’indagine, sia dal punto di vista psicologico che da quello fisico, componendosi e scomponendosi, come se fosse un libro aperto sulla storia e sull’attualità dell’immaginario, che ci vede là al centro, sia come occhio che sta dietro la macchina fotografica, proponendosi come regista del mondo, sia come occhio che guarda l’obiettivo per dare di sè una riproduzione addomesticata, se non falsa, non riconoscendo mai soggettività vera e propria alle folle viandanti, che nel loro anonimato fanno da sfondo nello sfondo. Chasing Beauty è un filo rosso disseminato sul nostro disordine, nel caos e nell’alienazione della società dello spettacolo, quando ti accoglie come spettatore, rilevabile solo numericamente, senza nome, senza cognome.
LeggiMantovani nelle sue poesie coglie l’attimo fuggente e le tragedie dell’io, che avvengono mentre la sua penna riga un foglio e la sua tastiera batte una b oppure una a, oltre la soglia della percezione psicologica, in un vero schiacciamento, che è dovuto all’eccesso di immagini, di suoni, di eventi, che hanno cancellato la nozione di silenzio e di luce e quindi anche quella di rumore e di tenebre, tanto, tutto è diventato endemico, e il concetto di norma non esiste più, se non nei vocabolari etimologici, perché in effetti tutto è sconfinato, oltre il segno della bellezza, che è sempre un confine, determinando la non tracciabilità del sublime, che è automatismo e alterità. Mantovani sorprende le capacità nomenclari della parola, come accidente strutturale e significativo, che dello stesso linguaggio come griglia a priori, soggetta a mutazioni per crescita e decrescita, in un farsi e in un disfarsi, continuo, che è fisiologico, ma che oggi comincia ad apparire come palesemente inadeguato. E se questo è vero, in termini epistemologici ed ermeneutici vuol dire che questo aspetto del linguaggio di Mantovani, nella sua varietà denotativa e connotativa, che comprende la verbalità e la scritturalità, l’inventività e la sperimentalià e tutte le crescenze dovute all’universo aperto delle medialità, materiali e immateriali, se non affrontato nella sua multilateralità e in una frequentazione continua, che ne permetta l’accompagnamento in tutte le sue fasi riformistiche e rivoluzionarie, sia nelle evoluzioni pacifiche, che negli smottamenti improvvisi, rischia di diventare il problema dei problemi, perché mette in dubbio ogni fondamento della realtà e non in via idealistica, per induzione nel pensiero filosofico, quanto per caduta nell’alienazione, che è un eccesso di materialità, di consumo, di accumulo, di scorie e di cose che non devono durare più dell’attimo mentale, perché così vuole il capitalismo planetario, votato a produrre, produrre, senza sosta. Nelle poesie di Vittorio Mantovani ritroviamo il sublime, erede, nel suo grande contenitore indicibile ed ineffabile, delle misure della bellezza, della libertà espressionistica, dell’emozione, della gestualità, del nomadismo, della sperimentazione, della teatralità della scena, del segreto di un laboratorio sapienziale e facturale, del grande teatro del mondo e della sua immensa volta celeste, conturbante aura fantastica e cappa insostenibile, che caratterizza, rizomaticamente ed atmosfericamente il nostro tempo. Una poesia che si configura come un grande contenitore, informe, elastico, pronto ad assumere la forma di tutto quello che contiene dentro, cambiando di continuo il suo modo di apparire, la sua transeunte morfologia, fatta di tutte le imperfezioni e le titubanze che vengono a scontrarsi, quando tutto è stasi e sembra movimento, quando tutto è movimento e sembra stasi.
Nei suoi versi tutto si svolge nel segno dell’imprevedibile, che cambia continuamente i linguaggi e il rapporto tra di loro. Gli eventi concreti, tangibili, un tramonto, il mare, una confessione, un fiore, uno sguardo, una sensazione, non sempre riescono ad avere una corrispondenza con quelli immaginari e con quelli verbali, perché hanno ritmi diversi. Quasi concetti utopistici, che non corrispondono a niente, oltre la fisica dei materiali o, specularmente, sperimentali, che necessariamente sono privi di nomenclatura, in quanto, imprevedibili, originali.
Nella raccolta “Angeli scalzi” è contenuto tutto, anche la bellezza, come pura potenzialità, che si articola in molte stilistiche e tipologie, che hanno in comune la forza debordante della ricerca, come dato della disseminazione, come effetto collaterale della smisuratezza, che richiede, di volta in volta, la concretezza dell’attualità, altrimenti resta confinata nel nulla.
Nei momenti di accelerazione dei versi (che rappresentano la regola della modernità), tutto viene travolto, dalla continua mutazione, terminologica, iconica, formale, in una concezione sperimentale che non si può mai annullare, neanche nei momenti di ritorno all’ordine, di nuova linfa della tradizione e della concettualità, perché c’è una asistematicità, una fibrillazione, che in Mantovani è psicologia della fantasia e dei luoghi comuni, contaminazione tra individualità e agglomerazione di stati di memoria, di vita vissuta e di desideri, proiettati in ogni manifestazione non utilitaristica del sé.
Si determinano, così, tanti e tanti, percorsi personali, costruiti sul pontile della libertà e della ricerca, nell’area di una centralità culturale, spirituale, che deve presiedere alla creazione della singolarità, dello spessore in cui ognuno misura se stesso, nell’invisibile dei segni, dei desideri, delle speranze, delle delusioni e del visibile, che vuole fuggire al nulla, apparire, essere.
La persistenza della memoria per il poeta, fa da strato, da comune riferimento, che non è solo linguaggio tecnico, ma un modo di esprimersi, fatto di confluenze e di alchimie, di desideri e di paure, di sogni e di ossessioni, che Vittorio Mantovani porta con sé, come bagaglio reale e virtuale, che mette a disposizione del nuovo e del diverso, combinandosi con le valenze disseminanti e affabulanti, della dimensione babelica del mondo.
Fonte:one-magazine.it
LeggiHo provato a sostare sulla soglia immaginaria tracciata temporaneamente da un dipinto di Angelo Bartolini, dove paesaggi, nature morte, figure, oggetti ed eventi della quotidianità scambiano la loro presenza con macchie di colore, con astratte impronte del pensiero, che si organizzano nella trama di un disegno rapido che sfugge anche alla superficie.
Il movimento della pittura del maestro emiliano di Borghi non ha nulla di casuale, anzi persino il caos di una caduta di foglie autunnali o di una mareggiata ritrova sempre una sua ragione di realtà nel perimetro squadrato della tavola, nello spazio metastorico che un cavalletto di legno, venerato a mo’ di ara sacrale, evidenzia. Per l’artista avrebbe detto Pessoa “non c’è altro problema se non quello della realtà e questo è insolubile e vivo”.
La mostra organizzata dall’associazione Angeli Scalzi ricostruisce, attraverso una selezione di circa quaranta opere, tutte ispirate all’autunno, un momento rappresentativo dell’esperienza creativa dell’artista: essa propone cioè, quel processo di lenta e silenziosa crescita, partendo dalle opere realizzate in quell’aria di novità che si inspirava agli anni di Novecento, vivificata dalle tensioni sobillate dalle attività e dalle aperture internazionali, avviate dal Vedutismo, dalla Metafisica, dal Realismo, ovvero dalle figure che disegneranno la silhouette delle Avanguardie Storiche. Un momento ricco di personalità e di situazioni che proiettano l’Italia nel circuito delle esperienze europee, allertando una tensione che ritrova, negli anni Settanta in quel breve periodo di ritorno alla pittura, il suo maggiore sviluppo in senso di apertura dialettica verso la sfera della sperimentazione, proiezione di quel progetto di avanzamento, di sentita ed effettiva connessione del pittore con gli sperimentalismi e l’ambiente avvertito quale spazio della propria identità esistenziale. Un’opera segna sempre un nuovo confine, una finestra che si apre al mondo, una soglia oltre la quale andare con l’emozionato respiro che accompagna la scoperta. Angelo Bartolini lavora su questo confine, regalandoci pagine di pittura, di quella alta che non perde lo spirito e la volontà di dialogare con la quotidianità del mondo, cioè di dichiarare la sua necessità del presente: una pittura che non è solo la celebrazione dell’enigma della visibilità, bensì partecipata testimonianza, ossia azione diretta orientata a smuovere le nostre coscienze.
Ragiona sulla pittura come idea di materia che costruisce uno spazio così come, in senso inverso, ripropone l’elemento naturale quale evocazione: cerca cioè di rendere lo spazio pittorico come un campo ove accade un evento, ove è possibile sentire contemporaneamente il tempo passato e quello del presente. La sua tavolozza è piena di colori sempre tonali e bilanciati, Bartolini ama la pittura senza giochi e senza ironia, predilige la robustezza, il rigore e la poesia.
Ogni rassegna d’arte, come questa organizzata a Villa Clerici in Cuggiono, induce a qualche considerazione sulla pittura, sulla sua validità e quindi sulle circostanze che consentono di valutarne gli effetti. La mostra dedicata ad Angelo Bartolini mi pare che vada oltre la tipologia puramente informativa assumendo una funzione più complessa e per, alcuni versi, direi esemplare.
Chiarisco meglio citando un mio vecchio saggio con un titolo significativo e un sottotitolo molto esplicativo: “La pittura è di nuovo fra noi”. “Nuovi artisti riconquistano una pratica come gesto scandaloso”.
Nello stigmatizzare il dilagare nell’arte contemporanea di installazioni, assemblage, videoinstallazioni, reading, site specific, insomma di tutto quell’insieme di attività del “contemporaneo”, che nulla hanno a che fare con la pittura, ho voluto mettere in evidenza alcuni recenti e positivi segni d’inversione di tendenza.
Insomma, dipingere oggi sembra una provocazione, una sfida, qualcosa che addirittura fa scandalo. E’ cosa di cui dovremmo vergognarci. Intanto, la pittura continua a essere sempre apprezzata. Tira, vende e non solo perché trionfa nelle maggiori fiere o dove il collezionismo si orienta su autori di opere che non è possibile esporre in casa.
Ecco le ragioni per cui ho definito la mostra esemplare: la qualità delle opere tutte dedicate a temi autunnali, la possibilità di un confronto diretto con una stagione eroica della pittura che può essere portata ad esempio presso le nuove istanze, un itinerario di ricerca di un artista, messo in mostra oggi, con i suoi novantadue anni, in modo esegeticamente didattico.
Tutto questo corrisponde pienamente alla figura di Bartolini, eccellente pittore e attivo sostenitore della funzione sociale e poetica della bellezza.
Questa sua visione dell’arte, condotta con rigore etico e determinazione, è la chiave della sua pittura dove non mancano aspetti davvero emozionanti. Penso a quel personalissimo modo, testimoniato da molte opere, col quale struttura certe composizioni; esso si manifesta quale metamorfica risoluzione di antinomie tra il paesaggio e la sua trasformazione.
E che dire dell’impianto compositivo, saldamente strutturale, di quei dipinti che sono il risultato di una personale poetica architettonica e di un rapporto tra razionalità geometrica e pulsione pittorica? E’ proprio la qualità delle stesure cromatiche, con il loro duttile e progressivo ispessimento materico, che accentua il gioco delle forme, dando luce e forza plastica ed espressiva alle opere.
Su queste cose si sviluppa la salda ricerca di Angelo Bartolini che, con la finissima qualità della sua pittura resa da una straordinaria vocazione cromatica, ha lasciato tracce davvero durevoli: tracce artistiche, tracce esistenziali che testimoniano la pienezza della sua vita, poiché – come sostiene Derrida – “Vivere è lasciar tracce”.
Pasquale Lettieri per one-magazine.it
Pittori, fotografi, musicisti, film maker, scrittori, danzatori. Cinquantatré artisti in campo, in un luogo unico al mondo come il Miglio d’Oro con le sue splendide ville, per un evento d’eccezione: è l’ Itinerario d’arte, giunto alla sua seconda tappa. Sabato 5 novembre alle 17.30, a Ercolano, si apriranno (gratis) al pubblico le porte di Villa Campolieto, disegnata da Gioffredo nel 1755 ma completata da Luigi Vanvitelli. Tra gli artisti espongono Antonio Sannino, Marco Monteriso e Giulia Nardone. Installazioni particolari faranno da sfondo alla sfilata in abiti settecenteschi nobiliari creati dall’associazione Favole Seriche.
I ballerini di “Mr Dancing” chiuderanno la serata prima delle degustazioni tipiche. L’ Itinerario curato da Giovanna D’ Amodio di Arteggiando prevede nello stesso pomeriggio una conferenza con il Vicepresidente dell’ Ordine degli architetti Prof. Lorenzo Capobianco e con i professori Luigi Caramiello, Clementina Gily, Franco Lista e il critico d’arte Pasquale Lettieri. La mostra resterà aperta fino al 13 novembre e sarà visitabile tutti i giorni dalle ore 9.00 alle 13.00, esclusa la domenica. In questi nove giorni, si alterneranno diverse manifestazioni tutte a ingresso libero. Fissate le date dei salotti letterari previsti nelle Scuderie di Villa Favorita (un lato della stessa Campolieto): domenica 6 novembre alle ore 18:00 presentazione del libro “Accade a Napoli” di Guglielmo Moschetti; venerdì 11 novembre alle ore 18:00 sarà la volta del libro “Nostos” di Antonella Del Giudice, scrittrice e conduttrice del “ Salotto culturale di Julie” su JulieNews TV web ed infine sabato 12 novembre alle ore 18:00 Gilda Arpino interpreterà, in abiti pompeiani, alcuni passi scelti da “Il prodigio di Sistro” di Stefania Menduni de Rossi. Il 5 novembre ci sarà l’iscrizione gratuita per chi vorrà partecipare alle “passeggiate fotografiche” a cura dell’associazione “Flegrea Photo”, alla scoperta dei luoghi vesuviani che si concluderà nel gennaio 2017 con una premiazione per la miglior opera fotografica. In collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli è aperto un concorso di cortometraggi per giovani artisti non professionisti, studenti e film maker, che indagheranno sul territorio vesuviano e sulle sue peculiarità. “Itinerari d’arte” è in percorso che intende promuovere sia l’arte contemporanea sia la valorizzare il patrimonio architettonico, testimonianza del passato di questa terra, restituendoli in tal modo alla fruizione dei cittadini, degli studenti e dei turisti.
L’evento “Itinerari d’arte lungo il miglio d’oro” è organizzato dall’Associazione Arteggiando con l’Ordine degli Architetti P.P.C di Napoli e Provincia Espongono a Villa Campolieto i seguenti pittori, scultori e fotografi: Tony Afeltra, Aurora Baiano, Maddalena Barletta, Enrico Bosi, Luciano Campitelli, Giorgio Carta, Alessandra Casciotti, Maria, Comparone, Michele Licata, Luca Dall’Olio, Antonio d’Amore, Pascal, Rosario De Sarno, Angelina Di Bonito, Mariarosaria Di Marco, Gennaro Di Giovannantonio, Giuseppe Di Guida, Mario Ferrara, Peppe Ferraro, Patrizio Fraternali, Giancarlo Gagliardi, Pietro Gardano, Peppe Gargiulo, Natasha Gillo, Maria Karzi, Enzo Elefante, Ennio Montariello, Marco Monteriso, Enzo Marino, Livio Marino, Angelo Marra, Pamela Elizabeth Mazzu, Giulia Nardone, Laura Negrini, Enzo Palumbo, Massimo Patroni Griffi, Sofia Orabona Dell’Aversana, Rosa Perugino, Anna Poerio, Felix Policastro, Anna Pozzuoli, Monica Presciutti, Luciano Romualdo, Pippo Russo, Raffaele Sammarco, Rolando Sanna, Antonio Sannino, Anna Scopetta, Gaetano Sica, Edoardo Stramacchia, Armando Trenti, Vertechi, Federica Virgili. Nei mesi tra novembre e gennaio 2017 “Itinerari d’Arte” si sposta a Villa Bruni e Villa Macrina, inserendo nei suoi programmi anche concerti a cura dell’“Associazione La Musica dell’ Anima” e incontri didattici sull’ arte contemporanea a cura dell’ arch. Franco Lista e della prof.ssa Clementina Gily. Il progetto ha ottenuto i seguenti patrocini: Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e Provincia di Napoli; Città Metropolitana di Napoli; Comune di Portici; Comune di Ercolano; Comune di San Giorgio a Cremano; Comune di Torre del Greco; Accademia di Belle Arti di Napoli; Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia; Fondazione Ente Ville Vesuviane; Ordine degli Architetti di Napoli; Fondazione Adastra; N.o.v.a. Italia onlus. La manifestazione ha il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.
Fonte: ilmattino.it
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