“Ex post”. Poesia ultraparola

di Pasquale Lettieri
Le avanguardie del secolo scorso non sono finite: continuano a brillare, come stelle morte che ancora inviano la loro luce. Una luce che attraversa il nostro presente e lo plasma. Ex post nasce in questa scia. Non come nostalgia, ma come consapevolezza che la sperimentazione ha generato un paradigma culturale totalizzante, dove l’originale è diventato imperativo e la differenza un obbligo.







Mauro Maurizio Palumbo si muove in questa tensione: da un lato, il rischio di cadere nella retorica dell’“alternativo”; dall’altro, la necessità di continuare a forzare i limiti dei linguaggi. Ex post è riscrittura scenica totale, è corpo che diventa superficie d’iscrizione, scultura vivente, icona effimera. L’arte, qui, è gesto e negazione del gesto. È presenza che resiste al tempo solo attraverso la sua trasfigurazione mediale: fotografia, video, pittura.
Ma ogni medium è insufficiente, se non preceduto da un atto. E ogni atto oggi è chiamato a confrontarsi con l’iperrealtà che ci avvolge: un mondo dove l’apparire ha soppiantato l’essere, dove l’individuo è una variabile accessoria, reale o virtuale che sia. Così l’arte si carica del compito di denunciare, insinuare, aprire brecce.
In exPost, la provocazione non è più aggressiva o scandalistica, ma sensuale, sottile. Corpi messi in scena come enigmi silenziosi, relazioni negate al tatto, ma offerte allo sguardo. L’intimità diventa spazio espositivo, dove il privato è universalizzato e il desiderio sospeso.
È in questo cortocircuito che si attiva la riflessione sull’eros: in un tempo dominato dal pornografico e dal perverso, Palumbo esplora le possibilità di un linguaggio dell’eros che non si riduca alla rappresentazione dell’atto, ma che torni a essere tensione, aura, campo di forze. L’arte diventa esercizio di sensitività, forma che trattiene l’istante e lo trasforma in durata.
La fotografia, in particolare, emerge come medium capace di legare l’effimero alla memoria. Ma non può essere autoreferenziale: ha bisogno di un corpo, di un’azione, di un habeas corpus che legittimi lo scatto come verità incarnata.
Ex post è dunque un’eresia del corpo: non negazione, ma apertura, esondazione. Una poetica del gesto che si muove tra consapevolezza e automatismo, tra coscienza e inconscio, tra estetica e carne. Un atto critico e visionario che interroga la contemporaneità nei suoi punti più fragili, nei suoi desideri più segreti, nei suoi riti più consumati.
Un’opera che non vuole chiudere il senso, ma moltiplicarlo. Non offrire risposte, ma rilanciare domande. Perché l’arte, quando è viva, è sempre ultraparla, oltre la parola, oltre il visibile, oltre il tempo.
